Cannabis e psicosi
GIOVANNA
REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 20 maggio
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Un bravo ragazzo studioso, garbato, a modo, spiritoso
e di buone maniere frequentava il liceo in una sezione diversa dalla mia, ma ci
si vedeva ogni giorno all’entrata di scuola; qualche anno dopo fu portato in
trattamento sanitario obbligatorio (TSO) al nostro servizio territoriale
universitario di psichiatria, perché trovato in un parco cittadino a cantare,
urlare, proclamarsi in possesso della comprensione universale del significato di
ogni cosa del mondo e declamare versi deliranti, spaventando i visitatori.
Purtroppo per lui, non si trattò di un episodio isolato ma dell’esordio di una
psicosi seguita all’assunzione di cannabis.
Negli anni, il progresso nelle conoscenze
neuroscientifiche e il crescere della casistica psichiatrica in tutto il mondo,
ha reso evidente uno stretto legame tra il primo episodio di psicosi (FEP, da first-episode psychosis) e l’assunzione
di cannabis. La prevalenza dell’uso di derivati della Cannabis sativa,
sia moderato e costante sia massiccio e isolato, è molto alta nel FEP e ha un
ruolo critico tanto nella sua insorgenza quanto nella prognosi, ma il sostrato
genetico associato al rischio di disturbi da uso di cannabis e il profilo
genetico che si ritiene possa promuovere l’acuta comparsa della manifestazione
clinica e l’evoluzione nel tempo della neuropsicopatologia,
non sono ancora bene definiti, anche se molto indagati. I consorzi genetici e i
gruppi isolati di ricerca genetica hanno prodotto in questi anni una mole di dati
straordinaria, ma ancora difficile da interpretare e, soprattutto, non hanno ancora
fornito dati diretti sul rapporto tra il profilo genetico del soggetto e l’esordio
psicotico associato al consumo di cannabis, stante la dimostrazione che l’associazione
non è casuale e ininfluente. Le strategie di trattamento correnti per la
cessazione della cannabis nel FEP si sono rivelate inefficaci in tutto il
mondo.
Alex G. Segura e colleghi hanno elaborato, sviluppato
e attuato un interessante protocollo per affrontare questi problemi,
consistente nello stabilire un rapporto tra i punteggi di rischio poligenico
associato alla cannabis (PRS, da polygenic
risk scores), il comportamento di assunzione effettiva di cannabis e il
decorso clinico seguente a un FEP precisamente diagnosticato. I risultati sono
di notevole rilievo.
(Segura
A. G. et al., Exploration of cannabis use and polygenic risk scores on the
psychotic symptom progression of a FEP cohort. Psychiatry Research – Epub ahead
of print doi: 10.1016/j.psychres.2023.115249, 2023).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Clinical Foundations,
Pharmacology Unit, University of Barcelona
(Spagna); Hospital del Mar Medical Research Institute, Barcelona (Spagna);
CIBERSAM, Madrid (Spagna); IDIBAP, Barcelona (Spagna);
Barcelona Clinic Schizophrenia
Unit, Neuroscience Institute Hospital of Barcelona, Barcelona (Spagna); Department of Medicine, University of Barcelona, Barcelona (Spagna).
Non è superfluo ricordare che l’atteggiamento
istituzionale favorevole alla diffusione dell’uso di cannabis, sostenuto da un
pensiero ideologico sviluppato negli anni Settanta e Ottanta, ossia prima della
scoperta degli endocannabinoidi e della clonazione dei loro recettori CB1 e CB2,
non ha tenuto conto dei progressi compiuti nella conoscenza della neurobiologia
delle molecole e del sistema di segnalazione, che viene alterato dall’uso di derivati
della cannabis e spesso gravemente danneggiato dall’uso cronico di questi prodotti
vegetali interi.
La marijuana e l’hashish agiscono sul cervello umano
generando spesso una sensazione di buon tono dell’umore, a volte con lieve
euforia su un fondo rilassato, ossia il cosiddetto “high” del gergo dei
consumatori di mezzo secolo fa, ma a volte l’effetto è spiacevole o sgradevole
e, invariabilmente, dosi più alte generano ansia, irrequietezza e malessere,
non di rado seguite da crisi di panico e talvolta da alterazioni del pensiero e
del ragionamento, con attribuzione di intenzioni vendicative, persecutorie e
malvage a persone con le quali si è in stretto rapporto affettivo o che a
stento si conoscono. In numerose casistiche sono riportati deliri di gelosia e
di persecuzione; in altri casi l’assuntore, dopo una fase di spensieratezza e
risate in gruppo, si ritira ed assume un atteggiamento di arrogante superiorità
nei confronti degli altri, con deprecazione, disprezzo e distacco[1].
Una prima assunzione o una quantità eccessiva possono
provocare nausea, vomito, sudorazione e altri sintomi neurovegetativi, anche
molto marcati. Molti assuntori abituali, dopo la fase di high vanno
incontro a un peggioramento del tono dell’umore, con sensazione di sonnolenza
e, se non vanno a dormire, diventano aggressivi e intrattabili. Sotto l’effetto
di cannabis molte persone sono particolarmente loquaci, ma il loro discorso si
svuota drammaticamente di senso, così che possono parlare per ore girando intorno
a un’idea senza mai svilupparla compiutamente, con una forma digressiva dell’eloquio
che può andare avanti per associazioni di senso più o meno soggettive e tornare
indietro al tentativo iniziale di formulazione dell’idea, quasi a dimostrare
all’interlocutore di non aver perso il filo che, in realtà, non è mai stato
sviluppato. Le differenze individuali negli effetti non sono trascurabili e la
loro base genetica comincia ad essere definita.
L’uso del vegetale intero come automedicazione non
ha ragione di esistere sulla base delle conoscenze scientifiche attuali, perché
non è scevra da rischi nemmeno una singola assunzione per alcuni, in quanto si
assumono centinaia di composti con effetti in parte contrastanti e in parte
sconosciuti e, soprattutto, perché i principali effetti terapeutici sperimentalmente
accertati possono essere esercitati dal medico dopo una precisa diagnosi, somministrando
il dronabinolo, ossia la forma brevettata del principio attivo Δ9-tetraidrocannabinolo
(THC), alla giusta dose, che non altera il sistema a ricompensa cerebrale, non
esercita effetti tossici e risulta di beneficio all’organismo ammalato. L’uso
terapeutico della cannabis è stato in realtà propagandato per decenni da poteri
economico-lobbistici internazionali legati al commercio e allo spaccio del
vegetale, quale pretesto per ottenere la liberalizzazione tout court.
I principi attivi della cannabis, quali THC e CBD (cannabidiolo), si legano ai recettori CB1 e CB2. Per molti
anni si è ritenuto solo CB1 rilevante per gli effetti sul cervello, in quanto i
recettori CB2 non erano stati trovati nel sistema nervoso centrale; negli anni
recenti i recettori CB2 cerebrali sono stati individuati e indagati: anche se minori
per numero e rilievo fisiologico, attualmente si ritiene non si debbano
trascurare. I due endocannabinoidi più studiati come ligandi di CB1, sono l’anandamide
e il 2-AG (2-arachidonil-glicerolo), entrambi caratterizzati in base alla loro prima
funzione studiata: messaggeri retrogradi che regolano la plasticità
sinaptica. La marijuana altera i normali effetti sinaptici mediati dagli
endocannabinoidi e, particolarmente, la plasticità sinaptica. Ad esempio, l’esposizione
protratta a THC porta alla perdita dell’LTD fisiologico mediato dagli
endocannabinoidi nel nucleo accumbens: un’alterazione che è stata posta in
relazione con la tolleranza e l’addiction. Gli effetti dei derivati
della cannabis sulla plasticità sinaptica contribuiscono a perturbazioni della
memoria e dell’elaborazione dell’informazione. Sono state scoperte varie analogie
fra il sistema di segnalazione oppioide e quello endocannabinoide.
Il lavoro
qui recensito si è sviluppato nell’arco di un intero anno e si è basato su un
campione di 249 pazienti diagnosticati di FEP, che sono stati seguiti nel corso
dei dodici mesi seguenti l’avvio dello studio, misurando la gravità dei sintomi
mediante la “Positive and Negative Severity Scale” e valutando
l’abitudine al consumo di cannabis mediante l’EuropaASI
scale.
I ricercatori
hanno costruito delle tabelle di rischio poligenico personalizzate per ciascun
partecipante allo studio, rispetto all’inizio dell’uso di cannabis in rapporto
all’epoca della vita, o PRSCI (polygenic
risk scores cannabis initiation), e rispetto al disturbo
da uso di cannabis, o PRSCUD (polygenic
risk scores cannabis use disorder).
Alex G.
Segura e colleghi hanno rilevato che in tutto il campione l’uso attuale di
cannabis era associato con l’incremento clinicamente rilevabile dei sintomi positivi.
L’inizio dell’assunzione di hashish, marijuana e altre preparazioni del
vegetale intero in età giovanile condizionava la progressione dei sintomi nel
corso di tutti i 12 mesi.
I
pazienti FEP con i più alti PRSCUD di cannabis hanno fatto registrare
i maggiori incrementi di uso di cannabis in baseline. La PRSCI
nel corso dei follow-up era associata con il corso della sintomatologia
negativa e generale. L’uso della cannabis e la progressione dei sintomi dopo il
primo episodio di esordio psicotico risultavano modulati dal PRS della
cannabis, suggerendo che l’epoca della vita di inizio e il disturbo da uso del
vegetale possano dipendere da fattori genetici parzialmente indipendenti.
I
risultati di questo lavoro esplorativo sembra possano costituire un primo passo
per l’identificazione dei pazienti FEP più vulnerabili all’uso della cannabis,
per i quali si prevedono gli effetti cronici più gravi, al fine di porre in
essere trattamenti individualizzati. Questo obiettivo è obbligato, vista l’assoluta
difficoltà ad attuare programmi di prevenzione, perché gli interessi economici
delle lobbies che sostengono il business della cannabis, proprio
quando ricercatori e medici chiedevano campagne di prevenzione scoraggiando l’uso,
in Italia hanno ottenuto dal Parlamento l’approvazione della legge che ha consentito
di invadere il nostro paese di rivendite autorizzare, moltiplicando il numero
delle persone affette da disturbo da uso di cannabis e aggravando la patologia
psicotica in pazienti che si illudono di curarsi assumendo il vegetale.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna
Rezzoni
BM&L-20 maggio 2023
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è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Una parte di questi effetti sono
da attribuire allo stato psichico individuale al momento dell’assunzione di
cannabis, e alla perdita di quella regolazione fine fra sistemi neuronici del
cervello, che consente una reazione affettivo-ideativa appropriata alla realtà
circostante.